Renato Boegan

Renato Boegan, tuttora vivente, è una figura significativa nel panorama speleologico goriziano anche se poco conosciuto dalle giovani generazioni.
Figlio di Albino, uno dei quattro fratelli Boegan di cui Eugenio, il secondogenito, era quello più famoso e conosciuto per le sue esplorazioni sotterranee, tanto che la Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie di Trieste, per molti anni da lui presieduta, ora è intitolata a suo nome. 
Felice, Eugenio, Albino e Anna così si chiamavano i fratelli Boegan; di lingua italiana ma residenti a Trieste, in un territorio sotto il dominio dell’Impero Austro-Ungarico, allo scoppio della prima Guerra Mondiale dovettero ben presto separarsi essendo irredentisti di vocazione. Il primogenito Felice muore all’età di 40 anni a causa della cosidetta “febbre spagnola” che imperversava in quel periodo; Eugenio, già noto speleologo, viene incarcerato dagli austro-ungarici# affinché non svelasse al nemico l’ubicazione delle numerose caverne situate sul Carso#, Albino invece dovette trasferirsi in Piemonte dove l’11 maggio 1923 a Trobaso, un piccolo paesino sul Lago Maggiore, nasce il piccolo Renato.
Sarà nel 1927, ormai a guerra conclusa da un bel po’, che la famiglia si trasferisce a Gorizia, dove fu per molti anni titolare dell’omonima ditta di tintoria situata in via S. Giovanni, una tra le più vecchie e note della città.
A Gorizia il giovane Renato cresce e ha modo di seguire da vicino lo zio Eugenio ed è per questo che egli oggi può considerarsi un prezioso e unico testimone delle vicende speleologiche cittadine vissute negli anni ’30.
Tuttora vivente il sig. Boegan rappresenta attualmente una figura trainante nella vita sociale di Gorizia essendo da diversi anni presidente del Consiglio di Quartiere Montesanto-Piazzutta. Da ragazzo, negli anni che vanno dal 1928 al 1931, egli assieme al suo celebre zio, unitamente all’immancabile cugino Bruno, fu un assiduo frequentatore della Grotte di Postumia, di San Canziano e della Grotta Gigante oltre naturalmente ad altre grotte minori; la sua frequentazione delle note cavità rappresenta una eccezionale occasione per poter documentare e capire come veniva vissuta, in quel periodo, la speleologia nella nostra città.
Si viene a sapere, così, che i goriziani negli anni ’30 avevano un rapporto con le grotte ed il Carso, molto più confidenziale di quello attuale.
Spesso frequentavano l’ambiente dei grottisti triestini e assieme svolgevano attività di campagna o in alternativa delle gite fuori porta che culminavano immancabilmente con l’esplorazione di qualche cavità.
Dai suoi racconti, dunque, si evince che negli anni ’20 e ’30 il rapporto tra il tessuto sociale goriziano ed il mondo speleologico della vicina Trieste era molto più immediato e concreto di quanto lo fosse nell’immediato dopoguerra (1945), dove anche a causa degli eventi bellici ci fu a Gorizia un lungo periodo di stasi da qualsiasi attività, non solo speleologica.
Un lungo momento di pausa che fece cadere nell’oblio la pratica dell’andare in grotta, sarà infatti solamente all’inizio degli anni ’60 che a Gorizia si ritornerà a parlare di speleologia.
Ma quello che è forse più importante e che attraverso la testimonianza del Boegan sono venuto a conoscenza di numerosi aneddoti, riguardanti soprattutto lo zio Eugenio; Genio, come veniva chiamato in famiglia, o più semplicemente il “Paron dele grote” per il nipote Renato.
Dai suoi ricordi, inoltre, si scopre che i rapporti tra lo zio, presidente della Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie, e l’allora direttore delle celebri Grotte di Postumia, il sig. Perco, non erano molto idilliaci, anzi, sovente non mancavano le occasioni perché i due si scontrassero verbalmente.
Tra le tante piccole storie più o meno curiose di quel periodo c’era l’abitudine di Eugenio di invitare spesso a casa sua, in via Boccaccio a Trieste, un gruppo di fedelissimi amici per giocare delle interminabili partite a “Maus”# che potevano durare giorni e nottate intere, il nipote Renato racconta che tra essi molte volte c’era anche il famoso Emilio Comici, inoltre egli ricorda che i giocatori si alzavano dal tavolo di gioco solo per mangiare.
A confermare l’importanza che veniva data a questo tipo di riunioni di gioco, ho potuto trovare sul retro di una cartolina, una delle tante che scriveva al fratello Albino, l’esito di una di tali partite in cui in termini entusiastici viene annunciata una “storica” vincita contro Antonio Berani (Fig. 33).
Tra le pieghe della “storia speleologica” si viene a sapere anche che in più di una occasione, Eugenio approfittando della “Tintoria Boegan” di proprietà del padre fece, nella Grotta di San Canziano, alcune prove di colorazione delle acque del Timavo con l’ausilio del colore che serviva per la tinteggiatura delle stoffe.
Da quanto emerge dunque dai racconti di Renato Boegan si può constatare con piacere che il famoso Eugenio non era quella persona arcigna e severa che la bibliografia ufficiale ci fa vedere, ma anche lui, come tutti gli speleologi, amava l’improvvisazione ed il buonumore.
In numerose foto, in possesso del nipote, si può riscontrare questo suo carattere, infatti, egli viene ritratto spesso in atteggiamenti affettuosi; la cosa è meglio evidenziata se andiamo ad analizzare la voluminosa corrispondenza che egli mantenne con tutti i componenti della propria famiglia.
Un rapporto del tutto particolare di stima e amicizia doveva intercorrere tra lui ed il fratello Albino testimoniato dalle numerose cartoline che egli scriveva nelle più svariate occasioni, su una delle quali si può addirittura leggere la propria felicità nell’annunciare al fratello, l’11 agosto 1924, la conclusione di un’importante esplorazione sull’altopiano del Cansiglio (Fig. 34)#.
Ed è sempre il nipote, infine, a raccontare che spesso in maggio sul Carso si svolgevano delle grandi feste, probabilmente in concomitanza di qualche gita sociale in grotta, durante le quali egli approfittava dell’occasione per poter visitare le grotte di più facile accesso assieme al cugino Bruno (Fig. 37). 

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