Gruppo Speleo “L.V. Bertarelli”

La storia di questo gruppo è stata abbastanza ben delineata da alcune relazioni ufficiali eseguite da Enio Turus e Alvise Duca, apparse rispettivamente: la prima sul volume edito dalla sezione del C.A.I. in occasione dei suoi 100 anni di fondazione# e la seconda su “Il Carso”# del 1985. 
Anche altre relazioni presentate in varie occasioni sintetizzano in modo sufficientemente chiaro l’attività del Gruppo Speleo “L.V. Bertarelli”, purtroppo esse peccano di una sostanziale mancanza di analisi delle vicende e del momento storico in cui esse si realizzarono. In questa sede tralascerò pertanto i dettagli e i particolari cronologici dell’attività svolta da questa associazione, rimandando il lettore alla consultazione delle relazioni ufficiali.
Ciò nonostante, mi è doveroso puntualizzare alcuni aspetti che secondo me sono stati determinanti per l’evolversi della speleologia nostrana.
Il G.S. “Bertarelli” ufficialmente nasce il 27 ottobre 1966 quando l’allora Speleo Club Gorizia viene assorbito dalla locale sezione del Club Alpino Italiano.
L’inserimento del gruppo in questa struttura non è semplice nè facile, l’animatore dello Speleo Club, Enio Turus, aveva infatti già richiesto l’adesione al C.A.I. nel 1962, ma il direttivo di quest’ultimo aveva espresso fin dal primo momento una certa perplessità nell’accogliere tale richiesta.
Tale titubanza era originata da una sostanziale diffidenza nella capacità organizzativa e tecnica del piccolo gruppo, nonchè da un certo setticismo nei confronti della possibilità di autofinanziamento del medesimo.
In sostanza questo fatto può sintetizzare in modo molto chiaro come fosse considerata la speleologia a Gorizia e quale fosse l’ambiente del C.A.I. all’epoca.
Indubbiamente l’atteggiamento un po’ conservatore ed elitario della sezione goriziana del Club Alpino aveva rallentato a dismisura l’inserimento nelle proprie file di un’entità che in seguito, almeno negli anni ’70, si dimostrerà la parte più attiva e vitale dell’intera sezione. Il 1966 comunque è un anno che vede il gruppo “Bertarelli” impegnato in un lavoro veramente notevole di esplorazione e rilevamento di nuove cavità; sono di questo periodo i rilievi della Grotta Due Piani, il Pozzo della Lampara Spenta, il Pozzo della Vipera e la Grotta dell’Artiglieria, tanto per citare i più noti.
Nel corso di quell’anno è da registrare anche un sensibile incremento del numero dei soci, il quale permetterà lo svilupparsi dell’attività su più fronti. I nuovi arrivi contribuiscono in maniera determinante all’evolversi delle tecniche e delle capacità d’azione del gruppo, tra questi devo senz’altro ricordare Antonio Pianio (sopranominato Toni Scaia), Franco Cianetti, Sergio Del Piccolo, Paolo Nicora, Flavio Duca, Mario Marchi, Domenico Chionchio, Giuliano Spangher, Stanko Kosic, Domenico Grillo e altri.
Ma sarà proprio il Pianio, che con il suo brevetto di fuochino, permetterà l’esplorazione di numerose cavità sul vicino Carso Goriziano altrimenti impraticabili. Nelle relazioni ufficiali si specifica che tra il 1966 e il 1968 la sede della sezione del C.A.I. si trasferisce da largo Culiat all’Unione Ginnastica Goriziana e successivamente in via Morelli in uno stabile della Camera di Commercio, dove trova sede anche il Circolo di Lettura; lo “Speleo” però dovrà accontentarsi dello scantinato.
Ciò nonostante sono questi, anni di intensa attività e di grande cameratismo, del resto la tecnica d’esplorazione del tempo agevolava tale tipo di approccio. La costruzione delle scale impegnava, infatti, tutti i soci a vari livelli e le lunghe serate invernali passate a “battere scalini” contribuivano in modo notevole ad amalgamare i vari componenti del gruppo. 
Tra la fine del 1968 e gli inizi del 1969 vede la luce una prima seria iniziativa promozionale del “Bertarelli” per far conoscere la speleologia a livello cittadino.
All’interno dell’Istituto Tecnico “G. Fermi” di Gorizia, infatti, si pensò di creare, grazie alla collaborazione del prof. Tullio Sellan e del prof. Paolo Nicora, socio del “Bertarelli”, una sorta di sezione speleologica aggregata al Gruppo Sportivo dell’Istituto.
Il gruppetto di appassionati speleologi era formato dagli studenti Gaggioli, Assirelli, Cargnel, D’Amore, Musto e Zamolo; purtroppo l’iniziativa ebbe breve durata, le escursioni compiute furono pochissime, di queste attualmente ci rimangono solamente alcune foto riguardanti l’esplorazione della Grotta Nemec fatta il 30.05.1969 e che sono messe in bella mostra nell’atrio dell’Istituto Tecnico “G. Fermi” di via Diaz a Gorizia.
Dei componenti il gruppetto, solamente il Nicora proseguì l’attività speleologica nell’ambito della sezione goriziana del C.A.I., mentre Giuseppe Assirelli che diventerà uno dei più noti fotografi goriziani e di fama nazionale, gravitò comunque nell’ambiente dell’alpinismo goriziano senza però occuparsi specificatamente di speleologia.
Ma è sempre nel 1969, con l’arrivo di nuovi soci tra i quali Maurizio Tavagnutti, Elio Frigè, Ulderico Silvestri, Marco Sfiligoi e Marcello Braidot, che l’associazione subisce un brusco salto di qualità ed un incremento dell’attività di campagna piuttosto consistente. Il primo cambiamento radicale che i nuovi arrivati impongono, non senza difficoltà, è l’inserimento della luce ad acetilene sul casco; i “vecchi” del gruppo, infatti, consideravano molto più sicuro portare la “lampara” appesa alla cintura, sul casco invece portavano solamente la luce elettrica.
Finalmente anche l’intensificarsi dei contatti con la Commissione Grotte “E. Boegan” di Trieste produrrà nel gruppo una rapida e costante evoluzione. 
Sempre nel ’69, Tavagnutti e Frigè possono partecipare al 1° Corso Nazionale per Istruttori di Speleologia, organizzato dalla Commissione Grotte “E. Boegan” e svoltosi presso Borgo Grotta Gigante (TS). I due però, vista la loro giovane età, potranno partecipare solamente come osservatori; ciò nonostante essi ritorneranno con un bagaglio di esperienze e idee che metteranno subito in pratica e che saranno in seguito messe a frutto ed esaltate nelle campagne esplorative sul Monte Canin.
Nello stesso anno ci fu anche un’iniziativa molto importante consistente nella stampa di un bollettino periodico che documentava l’attività svolta dal gruppo. L’iniziativa sviluppata dai soci Tavagnutti, Cocianni e Isabella Primosi, che tra l’altro formavano la redazione tuttofare, venne realizzata grazie anche ad un vecchio ciclostile in dotazione alla sezione del C.A.I., “Il Carso” fu il nome assegnato alla pubblicazione dopo lungo travaglio.
Questa iniziativa non può essere considerata un fatto puramente casuale, ma sta a significare che era in atto una continua ricerca di miglioramento delle proprie capacità di interscambio culturale, da parte del gruppo, verso l’esterno della propria realtà.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il periodico era nato anche per essere distribuito e interscambiato con altre analoghe pubblicazioni che stavano affacciandosi sul panorama della speleologia nazionale.
Devo però sottolineare il fatto, forse più importante, e cioè che la stampa di un periodico a carattere speleologico a Gorizia rappresentava un fatto assolutamente nuovo per la speleologia goriziana; esso infatti è il primo del suo genere ed è anche l’unico strumento che rimarrà come documento storico a testimoniare in modo concreto l’attività speleologica a Gorizia. 
In questo contesto gli orizzonti esplorativi si ampliarono, e negli anni ’70 il gruppo trovò, come si è detto, nuovi stimoli nell’esplorazione delle vallate del Natisone e del Torre; in particolare Ulderico Silvestri fu l’anima di questa attività.
Egli si distinse per volontà e iniziativa, ma soprattutto perché era l’unico che conoscesse ogni angolo dell’Alto Cividalese; attraverso le sue conoscenze del territorio il gruppo potè esplorare e rilevare una gran quantità di grotte più o meno importanti.
Una su tutte, la Grotta di Canebola, può rappresentare in modo molto chiaro l’impegno e il volume delle esplorazioni eseguite in quel periodo. Era questa una cavità il cui sviluppo di oltre un chilometro la poneva tra le più vaste della zona, ma erano soprattutto i suoi ambienti a renderla unica. Essa per un certo tempo calamitò l’interesse del gruppo che poi si estese anche nelle zone limitrofe.
Si può dire per certi versi che il “Bertarelli” in quegli anni fu uno dei pochissimi gruppi ad intuire gli enormi potenziali speleo-esplorativi che rappresentavano le valli del Torre e del Natisone.
Agli inizi degli anni ’70 la Grotta Doviza (70 Fr), situata presso il paese di Villanova delle Grotte (Tarcento – UD), rappresentò un nuovo campo d’azione che si offrì alle possibilità d’esplorazione del G.S. “Bertarelli”. La cavità risultava per certi versi ancora con molti lati oscuri e parecchi punti interrogativi, l’unica planimetria esistente era ancora quella fatta dal Feruglio negli anni ’30.
Per parecchio tempo le attenzioni del gruppo furono quindi rivolte all’esplorazione metodica di questa grande cavità sino a culminare con una “spedizione”, con una permanenza continuativa all’interno, di ben 6 giorni durante i quali venne eseguito un accurato rilievo topografico di tutte le gallerie della grotta (Fig. 57). La cosa significò il raggiungimento di una tecnica e capacità esplorativa non di poco conto se si pensa che solamente nel periodo 1968-69 il gruppo era ancora legato al ristretto spazio del Carso Goriziano.
Inoltre debbo sottolineare, non senza un pizzico d’orgoglio, che quello fatto, risulta a tutt’oggi l’unico rilievo topografico esistente di questa cavità.
In quegli anni la zona di Villanova delle Grotte fu comunque teatro anche di una intensa campagna di ricerche speleologiche che videro il gruppo impegnato nell’esplorazione di diverse grotte sul vicino altopiano della Bernadia. Anima di questa attività fu un personaggio, Giordano Marsiglio, che molti anni più tardi diventerà il principale animatore della speleologia tarcentina, ma che all’epoca era uno dei soci più attivi del gruppo goriziano.
Soprannominato “Paîs” per la sua caratteristica parlata friulana, egli si distinse per la volontà e per la conoscenza del territorio tarcentino; grazie alla sua collaborazione, infatti vennero scoperte e rilevate alcune cavità di indubbio interesse tra le quali ricorderò la Grotta del Partigiano (968 Fr), la Grotta di Crosis (74 Fr) e il Poz dal Paîs (867 Fr) appunto.
Intanto sull’altro fronte, quello del Carso Goriziano, nell’ottobre del 1972 Domenico Grillo, assieme ad alcuni altri soci, scoprono una cavità nei pressi di San Michele del Carso. Dopo averne allargato l’ingresso, gli esploratori si trovarono di fronte ad una grotta ricca di concrezioni e tra le più vaste dell’intera area del Carso Goriziano, per le sue caratteristiche venne subito chiamata “Grotta Regina” (Fig. 60).
Purtroppo alcuni di essi, residenti nella zona di Doberdò e S.Michele, tra cui Stanko Kosic e lo stesso Grillo, videro in questa scoperta un possibile motivo di orgoglio campanilistico, o forse su suggerimento del gruppo etnico sloveno, approfittarono dell’occasione per costituire un nuovo gruppo speleologico denominato “Talpe del Carso”.
Ovviamente la nuova cavità, anche se effettivamente scoperta dal “Bertarelli” fu al centro di tutte le attenzioni del nuovo gruppo.
La scissione non fu certo indolore, infatti nel nuovo raggruppamento vi affluirono tutti i soci residenti sull’altopiano carsico o comunque di lingua slovena; pertanto, da questo momento in poi la zona d’esplorazione sul vicino Carso Goriziano andrà via via riducendosi a sfavore del gruppo goriziano. 
Sarà comunque con le prime esplorazioni sull’altopiano del M. Canin che l’attività del gruppo subirà una vera e propria trasformazione ed una brusca accelerazione. I disagi dell’esplorazione in alta montagna temprano e arricchiscono di nuove esperienze lo sparuto gruppetto di amici che si dedicherà alla scoperta di questo nuovo ambiente.
All’epoca (1969) non esisteva ancora l’attuale funivia che collega Sella Nevea al rifugio Gilberti, mentre il sistema più praticato per raggiungere la prima località, dopo aver raggiunto in treno la stazione di Chiusaforte, era l’autostop.
Ciò nonostante quello fu un periodo di grandi soddisfazioni e mitiche campagne d’esplorazione che culminarono con la scoperta dell’abisso “E. Comici”.
La zona presa in esame fu, da subito, rappresentata da una serie di alture situate a Nord del Foran del Muss, l’impegno profuso dal “Bertarelli” negli anni ’70 fu veramente notevole# e soprattutto determinante per la formazione tecnica di alcuni suoi soci.
Come si apprende, infatti, dalla relazione ufficiale di E. Turus del 1985, dopo i primi approcci nel 1969, il Canin vide il formarsi di una coppia, Marco Sfiligoi e Maurizio Tavagnutti, molto affiatata che contribuì in modo significativo alle esplorazioni delle cavità della zona. Essi in particolare si distinsero per la scoperta e l’esplorazione dell’abisso “E. Comici”, i due anche se in seguito furono affiancati da Roberto Reya, Mauro Buiatti (soprannominato Millet), Mario Mattana e Marco Terenzio, costituirono comunque il nucleo trascinatore che fece dell’esplorazione in Canin la propria ragione di vita.
Nell’estate del ’70, in occasione di un campo estivo sull’altopiano del Canin, Tavagnutti, invitato dagli amici della Commissione Grotte “E. Boegan”, potè partecipare alla prima esplorazione dell’abisso “E. Davanzo”; fu quella un’impresa memorabile, nel corso della quale venne scoperta la prosecuzione che avrebbe poi portato verso il fondo.
Il gruppo formato dai triestini Willi Bole, Mario Privileggi, Adelchi Casale, e Mariano Marzari raggiunse la bella profondità di 400 metri superando un meandro estremamente difficile e impegnativo (Fig. 63)#. 
E’ nel 1974 che nasce l’idea di organizzare un incontro allargato a tutti quei gruppi speleologici che frequentavano in quel momento l’altopiano del Canin; lo scopo dichiarato era quello di creare un dibattito ed un confronto, tra i vari gruppi grotte, sulle tecniche d’esplorazione da loro impiegate in quel momento nell’esplorazione dei grandi abissi.
Nasce così quello che sarà il primo “Incontro Speleologico Internazionale sui problemi concernenti l’esplorazione di cavità situate in alta montagna”, che si svolse nei locali del rifugio Gilberti nei giorni 20 e 21 luglio 1974, al quale aderirono diversi gruppi austriaci, sloveni regionali ed emiliani#. 
Fu questo, se vogliamo, il primo tentativo di creare in modo intelligente un dialogo tra i gruppi grotte delle tre regioni contermini della Carinzia, Slovenia e Friuli-Venezia Giulia, tema che verrà poi ripreso molto più tardi con gli incontri del “Triangolo dell’Amicizia”. 
L’attività sull’altopiano del M. Canin proseguì quindi puntualmente ogni estate per diversi anni e con particolare intensità. Oltre all’abisso “E. Comici”, infatti, vennero scoperte numerose voragini più o meno interessanti, ma una nuova cavità, che sin dalle prime battute si dimostrò di estremo interesse, calamitò tutte le attenzioni. Essa venne subito battezzata con il nome di abisso “C. Seppenhofer” in onore del primo speleologo goriziano e costituì immediatamente il nuovo obiettivo del gruppo.
Ormai si cominciava a pensare ad una speleologia molto più impegnativa e con l’arrivo in gruppo di Fulvio Ladini, le cui esperienze organizzative e in campo alpinistico erano indubbiamente riconosciute, l’attività subì un’ulteriore svolta in senso positivo.
Vennero intrapresi progetti piuttosto ambiziosi ed impegnativi; fu in questo contesto che, nel novembre del 1974, nacque l’idea di realizzare un filmato sull’esplorazione invernale all’abisso “C. Seppenhofer”, l’operazione comportò un notevole dispendio di energie, ma alla fine dette risultati davvero sorprendenti.
Debbo a questo punto sottolineare il fatto che per la prima volta venivano effettuate delle riprese cinematografiche in alta montagna nel corso di un’esplorazione vera e propria; inoltre le condizioni atmosferiche e di innevamento, sommate alla grande quantità di materiale necessario alla sua realizzazione, costituivano già di per sè un’impresa notevole.
Ad ogni modo tra mille difficoltà il documentario risultò estremamente interessante e dotato di soluzioni tecniche innovative#; esso fu presentato con grande successo al 3° Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia che il “Bertarelli” organizzò nei giorni 4-5-6 novembre 1977 presso l’Auditorium della Cultura Friulana di via Roma a Gorizia.
In quegli anni ci fu davvero un grande fiorire di iniziative e attività, ma soprattutto si delineava all’orizzonte un nuovo modo di vedere e praticare la speleologia. Già con l’introduzione delle nuove tecniche di progressione in “sola corda”, si era visto un primo cambiamento nel modo di affrontare l’esplorazione di una grotta, ma non solo, la nuova tecnica introdusse nuovi concetti e nuove filosofie.
Innanzitutto venne a cadere il concetto di gruppo come supporto all’attività sociale, con il nuovo sistema le esplorazioni, anche quelle più impegnative, potevano essere eseguite da poche persone, inoltre i tempi erano maturi per superare la vecchia mentalità, un po’ provinciale, che portava i gruppi grotte ad isolarsi non essendo inclini alla collaborazione con altri gruppi speleologici.
Tutti questi segnali, uniti a banali incomprensioni, determinarono una grossa frattura all’interno del “Bertarelli” che nel 1978 subì una scissione da cui nacque il Centro Ricerche Carsiche “C. Seppenhofer”.
Ci fu in pratica un grosso scontro generazionale, anche se mascherato da vecchie beghe tra chi vedeva la speleologia in modo moderno e chi era ancora legato al vecchio modo di andare in grotta, in un certo senso non si voleva dare spazio alle giovani leve, ma soprattutto non si era capito che l’ambiente un po’ retorico e statico della sezione goriziana del C.A.I. stava asfissiando tutto e tutti.
Molto probabilmente una mentalità più aperta e lungimirante avrebbe potuto risanare una situazione ormai compromessa.
Purtroppo le cose andarono diversamente e la storia del Gruppo Speleo “L.V. Bertarelli” ebbe da quel momento un’evoluzione ben diversa da come era stata prospettata ai tempi dalla suo massimo fulgore. 

 


 

Bibliografia

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